martedì 26 febbraio 2013

in Italia una nuova fase politica?


Con il successo elettorale di Grillo inizia in Italia una nuova fase politica. Grillo, infatti, trova il consenso di chi è convinto che i politici sono tutti dei corrotti che pensano solo a rubacchiare, totalmente indifferenti ai bisogni drammatici e urgenti della gente, che vengono infatti sfacciatamente disattesi da decenni. Questo è stato possibile perché nei fatti è mancata una forza politica che parlasse con convinzione di ridistribuzione sociale della ricchezza, di abolizione del precariato, di restringimento della forbice tra le retribuzioni e le pensioni “d’oro” e quelle medio-basse, di riduzione del tempo effettivo di lavoro, di difesa dei beni pubblici, di difesa delle imprese e delle maestranze italiane dalle delocalizzazioni contrarie all’interesse nazionale, dalla concorrenza “sleale” delle importazioni che non rispettano i minimi standard di tutela dell’uomo e della natura e da quella esercitata dalla immigrazione selvaggia.

La sinistra “storica” non ha mai portato avanti un simile programma per dichiarato “senso di responsabilità” verso le compatibilità imposte dalla concorrenza internazionale. Con ciò ha mostrato sostanzialmente di credere nella fondatezza “scientifica” del pensiero liberista e, in specie, di escludere che la distribuzione possa cominciare già nella sfera della produzione, attendendosi invece che essa possa avvenire solo dopo che venga prima prodotto con efficienza (in realtà “stracciona” perché conseguita sul fronte del costo del lavoro anziché quello della qualità del prodotto) ciò che poi si distribuisce, non cogliendo, dunque, nemmeno parzialmente, le conseguenze devastanti che le nostre esportazioni hanno per le imprese e le maestranze dei paesi “fratelli” che non producono più ciò che viene da esse soppiantato, non facendo nemmeno una piega di fronte al fatto che per conseguire questo “lodevole” obiettivo si comprimano retribuzioni, welfare e civiltà del lavoro nella speranza che la compressione di domanda interna che ne discende venga più che compensata dalle maggiori esportazioni che così si promuoverebbero.

Nemmeno la sinistra più estrema, del resto, mette in dubbio la esattezza scientifica delle analisi liberiste, ed è per questo che quando chiede qualcosa per i lavoratori e per gli utenti dei servizi sociali non si preoccupa minimamente di giustificarlo sotto il profilo “tecnico”. Così facendo, però, avvalora la tesi che i liberisti abbiano ragione sotto il profilo tecnico-scientifico e lascia l’elettorato suo referente diviso tra chi “si fida dei padroni” nell’immediato sognando un improbabile sol dell’avvenire situato in un tempo futuro incerto sia nel se che nel quando, e chi si oppone nella logica del “tanto peggio tanto meglio” pur ritenendo scientificamente fondata la lettura liberista del funzionamento del capitalismo ma sperando che esso crolli per effetto di quella caduta tendenziale del saggio di profitto che queste rivendicazioni provocherebbero.

E’ in questo vuoto concettuale in cui la sudditanza scientifica verso il liberismo si sposa con l’appiattimento sindacale più imbarazzante e/o con il ribellismo irresponsabile, che si inseriscono la destra sociale, il populismo, il peronismo e i fascismi.

Il loro massimo comune denominatore, infatti, è una certa solidarietà sociale che si mescola ignorantemente alla invidia verso chi si vorrebbe essere e dal cui novero ci si sente ingiustamente esclusi, un certo sentire meritocratico e antiplutocratico di estrazione piccolo-borghese, e la speranza di ricevere in distribuzione come plebe le colature della ricchezza che i padroni sanno bene come produrre se solo li si lascia fare, se si combattono giustizialisticamente le corruttele politico-amministrative, le ruberie dei falsi invalidi e dei fannulloni che “non vogliono lavorare”, e, perfino, se li si liberano da quei “lacci e lacciuoli” che impediscono loro di licenziare liberamente chi non merita e assumere chi merita.

Il collante di tutto lo da il giustizialismo familista e xenofobo che si esprime nell’ostilità preconcetta verso i “diversi”, gli “stranieri” e … gli “stupidi” e i “cattivi”, salvo, però, che si tratti di “amici”.

Insistendo la sinistra a dividersi tra moderatismo complice e ribellismo sfascista, il quadro politico occidentale è rimasto bloccato per decenni, attraendo la sinistra politico-sindacale nella rete delle clientele bipartisan e alimentando nei referenti la depressione e il non-voto.

Oggi, però, il M5S, dopo una gestazione giustizialista e antipolitica durata 3 anni, nel corso della ultima campagna elettorale ha cominciato a precisare il suo programma in senso molto più “sociale”, perfino supportandolo assai più “scientificamente”. Rispetto al programma poco definito che 2 mesi fa aveva inserito nel suo sito, M5S ha cominciato infatti a parlare esplicitamente di solidarietà sociale non più procrastinabile, restringimento brutale della forbice retributiva e pensionistica, abolizione del precariato, riduzione del tempo effettivo di lavoro, difesa dei beni comuni e simili. Ed è entrata in modo classista e scientifico nel concreto, indicando dove e come reperire le relative risorse, non parlando genericamente di lotta alla criminalità organizzata e all’evasione fiscale, ma di storno dei rimborsi elettorali, taglio degli enti inutili, taglio degli interessi bancari sui btp (oggi, circa 87 mld) e sui finanziamenti a famiglie e imprese, e, soprattutto, di distribuzione sociale sostanziosa, a partire dal prelievo forzoso sui 17 mld oggi distribuiti per le pensioni tra i 10.000 e il 92.000 euro al mese. In questa ottica, non ha assunto una prospettiva semplicisticamente anti-europea, dicendo chiaramente che è ormai necessario, per l’Italia come per tutti i PIGS, ma anche per la Francia e la Germania, rivedere i parametri di Maastricht per costruire una Europa solidale che esca dal tunnel recessivo abbandonando con criterio le politiche del rigore miste a sperequazione antisociale.

Questo è un vero colpo di scena perché nasce così senza che nemmeno ce ne siamo accorti un vero programma riformista e, insieme, l’involucro ideologico che lo giustifica eticamente e scientificamente.

Nel contempo, si diffonde la convinzione che M5S sia un movimento ormai inarrestabile, stante il suo nettamente maggiore appeal sull’area del non-voto e sull’elettorato genericamente progressista, da quello social-comunista alla destra sociale. E non potrà che essere così in mancanza di un intelligente riposizionamento del PD e del PdL.

Il PD, infatti, non potrà sperare di vivacchiare come fa da ormai 20 anni sulle sue clientele e sulla mancanza di convincenti alternative alla sua sinistra, mentre il berlusconismo dovrà fare i conti con l’ambiguità con cui tratta il tema del lavoro e della giustizia sociale, non potendo più “pagare”, ormai, l’idea reazionaria ancora non ripudiata che la ripresa economica discenda dalla ulteriore precarizzazione del lavoro, dall’aumento dello sfruttamento marxiano e dalla detassazione delle fasce alte di reddito conseguito smantellando il welfare, a partire dalla istruzione e dalla sanità. 

SEL deve tendere la mano a M5S offrendo non un “inciucio” ma la convergenza leale sulla parte sociale di un programma che è “naturalmente” comune.

Se il PD aderisce, si stacca da esso la sua componente più reazionaria ed oltre all’entusiasmo popolare si potrà avere l’appoggio esterno della parte popolare della Lega (la componente più consistente numericamente) più quello di un numero imprecisato di populisti sparsi nel PdL. I “numeri”, del resto, ci sono eccome! Il fronte popolare parte infatti da una base di 448 a 169 alla Camera e di 171 a 144 al Senato.

Il prezzo da pagare è certamente la rinuncia all’internazionalismo ingenuo, sostenendo che comunque la giriamo ogni lavoratore produce necessariamente molto di più di quanto consuma, laddove la disoccupazione è la dimostrazione palmare che lo stato può, con la programmazione economica, avviare in contemporanea una riduzione dell’orario di lavoro e una sorta di piano Marshall diretto all’ammodernamento della struttura produttiva, infrastrutturale e della istruzione, nonché attento al risanamento del degrado idrogeologico, alla conversione verso le energie rinnovabili e al potenziamento del welfare. In questa ottica gli extracomunitari non sono più crumiraggio internazionale ma risorse preziose per lo sviluppo economico e sociale del paese.

Il PdL, nel frattempo, avrà molte più difficoltà di noi. La carta giustizialista è meno credibile nelle sue mani, così come i suoi referenti reazionari e quelli appartenenti all’1% più ricco lo abbandoneranno se “varcherà il Rubicone” e giocherà spregiudicamente la carta nazionalista dell’antieuropeismo e quella peronista, proponendo, da un lato, la uscita dalla Europa, e, dall’altro, un salario di cittadinanza di € 1.000 al mese.

Non sarebbe credibile in contrapposizione a un “fronte popolare” che chiedesse la revisione dei trattati e non la loro cancellazione, e, comunque, non potrebbe spingersi oltre nel programma riformista.

Parliamone, poiché il tempo oggi lavora per la ingovernabilità, prima, e per la lotta tra la eversione e la rivoluzione, entrambe avventuristiche, in prospettiva. 

Nando Ioppolo