martedì 21 ottobre 2014

L’ESECUZIONE – di Libero Tronocozzo

L’ESECUZIONE – di Libero Tronocozzo

   Era passata ormai più di una settimana da quando li avevano fotografati l’ultima volta, dopo aver messo nelle loro mani la copia di un quotidiano locale, ed a questo punto né lui né Parker, anche se avevano fino ad allora evitato di parlarne, si facevano troppe illusioni sulla loro sorte. Erano da poco meno di un mese nelle mani dei ribelli ed a quanto pareva – dato il troppo tempo trascorso - le trattative per il loro rilascio  non erano andate a buon fine; perché questo fosse accaduto non avrebbe saputo dirlo con certezza: eccessivamente alto il prezzo del riscatto richiesto? Rifiuto del loro governo a trattare con dei terroristi? Scarso impegno da parte dei negoziatori, tutto sommato contenti che i colloqui si arenassero, mostrando al mondo intero l’inutilità del dialogo con questi fanatici? Scrollò le spalle, rinunciando all’analisi della situazione, che rivestiva, ormai, un’importanza del tutto relativa, e bevve un lungo sorso dal recipiente di terracotta, contenente un’acqua melmosa, prima di porgerlo a Parker; il suo compagno bevve a sua volta, gemendo come sempre quando era costretto ad un pur minimo movimento.
   Pensò allora di dare un’occhiata alla ferita; s’inginocchiò accanto a Parker, che giaceva sul pavimento di terra con la schiena poggiata contro una parete della piccola baracca dove erano rinchiusi, e gli fece cenno di denudarsi la gamba; Parker obbedì, digrignando i denti e continuando a fissare il nulla davanti a sé, con la fronte imperlata da grosse gocce di sudore che con cadenza irregolare raggiungevano la punta del naso e di lì si tuffavano nel vuoto, per contribuire ad ampliare un’umida macchia scura sulla ruvida camicia militare. “E’ finita, vero, capo?” gli chiese senza guardarlo e subito si rispose da solo, aggiungendo con un aspro sorriso: “Siamo arrivati al termine del viaggio”. “Non è detto, non è detto” disse lui ostentando sicurezza ed iniziando a disfare la fasciatura. “Ancora non è detto. Può ancora succedere di tutto; ho visto altre situazioni che sembravano senza uscita e poi si sono risolte” dichiarò, continuando con attenzione a rimuovere le bende intrise di sangue rappreso e rendendosi amaramente conto che lui stesso, per primo, non riponeva eccessiva fiducia nelle proprie affermazioni.
   Parker - che lui considerava quasi come un figlio per la differenza di età, la condivisione di numerose azioni e le molteplici occasioni in cui aveva fornito al ragazzo il sostegno della propria matura esperienza - era stato ferito quando, già catturati e disarmati, dopo essersi scambiati furtivi cenni d’intesa, avevano tentato una fuga impossibile approfittando di un momento di presunta disattenzione dei loro rapitori; la fitta e rabbiosa sequenza di colpi sparati verso di loro aveva subito reso evidente l’assurda inadeguatezza del loro disperato proposito: lui era rimasto miracolosamente illeso appiattendosi istantaneamente sul terreno, ma Parker  era stato colpito alla gamba; Brown era invece morto sul colpo senza un grido, crivellato dai proiettili; il corpulento Allen con un rantolo prolungato era lentamente crollato al suolo dove, sdraiato su un fianco, era rimasto immobile ad osservare incredulo la macchia rossa che si allargava sulla sua camicia, all’altezza dell’addome; immediatamente raggiunti e circondati erano stati selvaggiamente percossi e – loro due soltanto - ricondotti alla base; il morto era stato lasciato dov’era caduto ed a fargli compagnia avevano lasciato anche Allen, le cui condizioni apparivano disperate; mentre si allontanavano, brutalmente sospinti dai loro aguzzini, lo udirono singhiozzare ed invocare pietà; nonostante la palese disapprovazione degli uomini che lo scortavano, i quali a motivo di ciò presero a picchiarlo con maggiore accanimento, si era fermato e voltato a guardare per un’ultima volta Allen, che con sforzi sovrumani strisciava lentamente verso di loro, piagnucolando ed offrendo tutti i suoi beni terreni a chi non lo avesse abbandonato, condannandolo a morire per dissanguamento; schiacciato dalla tragica consapevolezza di non poterlo soccorrere in alcun modo, aveva ripreso la marcia augurandosi che le sofferenze del suo commilitone finissero in fretta. Sebbene fosse amareggiato per la sua imminente ed atroce morte, non riusciva a perdonargli la debolezza dimostrata di fronte al nemico; un soldato, secondo lui, aveva l’obbligo morale di mantenere in ogni circostanza un contegno decoroso; implorare misericordia costituiva, oltre che un’azione sciocca e vana – essendo ben nota la totale assenza di umanità di quegli assassini – una mancanza di carattere a suo giudizio inammissibile per un combattente; al punto di aver lui stesso provato vergogna per il comportamento indecoroso di cui era stato testimone e che, probabilmente, aveva smisuratamente alimentato negli stessi nemici  - convinti che essi fossero solo dei mercenari, attratti dal denaro ma privi di ideali - il disprezzo nei loro confronti; no, Allen non era affatto morto come si conviene ad un vero soldato.
   Alla fioca luce di una sporca e debole lampadina che pendeva dal soffitto esaminò con attenzione la ferita di Parker; anche se superficiale, non essendo stata curata a dovere per l’assenza di medicinali adatti, questa presentava un’estesa infezione,  interessata dalla presenza di abbondante secrezione purulenta; la cute intorno alla ferita appariva di un’intensa colorazione nerastra, la qual cosa non lasciava presagire nulla di buono; l’ulteriore mancanza di medicazioni adeguate e di igiene avrebbero potuto causare in tempi estremamente rapidi – se ne rendeva perfettamente conto - complicazioni imprevedibili.
   Si alzò e si avvicinò alla porta, cominciando a tempestarla di pugni, mentre Parker lo osservava con tangibile indifferenza; dopo qualche secondo si udirono dei rumori dall’altra parte, poi fu fatto scorrere il chiavistello ed attraverso lo spiraglio della porta socchiusa apparve un gigante barbuto, ricoperto da un caffetano verde sbiadito e con un mitra a tracolla. “Ho bisogno di disinfettante” disse sillabando le parole nella speranza di essere capito. “Alcool. Disinfettante e garze pulite. Devo pulire la ferita” aggiunse, accennando con un movimento del capo in direzione di Parker; poi ebbe un’ispirazione improvvisa: cavò dall’interno di una scarpa il suo orologio, che fino a quel momento era sfuggito alle numerose perquisizioni, e lo consegnò al carceriere raccomandandogli: “Portami dell’alcool”. Il gigante non manifestò in alcun modo di aver compreso la richiesta, e si limitò ad intascare il prezioso oggetto, a scuotere il capo con un sorriso soddisfatto ed a  richiudere la porta. “Luridi animali! Bastardi schifosi! Trogloditi!” inveì allora serrando i pugni e cominciando a camminare avanti e indietro nell’angusto spazio a disposizione, come gli accadeva spesso di fare per dare sfogo alla propria rabbia impotente. Lo sguardo di Parker lo seguiva con un’espressione che si sarebbe detta divertita, se l’inconsueta fissità non avesse denunciato la presenza di un intimo ed insopprimibile terrore.
   Qualche tempo dopo si udirono varie voci provenienti dall’esterno e qualcuno si mise ad armeggiare intorno alla porta, che venne completamente spalancata consentendo l’irruzione dell’abbagliante luce diurna che ferì gli occhi dei prigionieri, assuefatti da molto tempo alla semioscurità dell’interno. Due individui in tuta mimetica entrarono, lo afferrarono per le braccia e lo trascinarono all’esterno – lasciandogli appena il tempo di gridare a Parker di stare tranquillo e che sarebbe andato tutto bene -, costringendolo a camminare su un impervio percorso in salita, verso un agglomerato di basse costruzioni in legno dov’era, supponeva, il loro quartier generale. Si arrestarono in un piazzale gremito di uomini armati, dove i due che lo scortavano lo lasciarono libero ma, a titolo precauzionale, gli posero un guinzaglio di corda intorno al collo, trascinandolo  in tali condizioni alla presenza di un individuo seduto in terra, il cui corpo magro ed ossuto era avvolto da una candida tunica ornata di elaborati ricami dorati; le guance incavate, la lunga barba scura attraversata da fili argentei, gli occhi nerissimi ed ispirati gli conferivano un aspetto ascetico che contrastava vivamente col bazooka che teneva poggiato sulle ginocchia. Gli si rivolse in un inglese stentato: “Il vostro governo, amico mio, non sembra interessato alla vostra sorte: vi ha abbandonato al vostro destino, amico mio. Noi però ti offriamo una possibilità di salvezza. Sarai libero se denunci le manovre messe in atto dagli imperialisti contro il nostro popolo; dovrai condannare la rapina delle nostre risorse, le false motivazioni usate per aggredirci, i crimini compiuti dai vostri mercenari”. Fece una pausa, poi continuò, con un lampo di crudele arroganza nello sguardo: “A conclusione di tutto, per dimostrare di essere sinceramente pentito, dovrai eseguire la nostra sentenza: tagliare la gola del tuo compagno, giudicato colpevole per i misfatti commessi contro la nostra gente.” Gli chiese infine con sardonica cortesia se avesse capito tutto perfettamente e prese ad osservarlo, cercando di intuire l’impressione prodotta dalle sue parole ed attendendo con impassibile calma la sua risposta. Si accorse che molti dei presenti stavano registrando il colloquio con telefonini e telecamere e si concentrò per preparare quello che, con tutta probabilità, era destinato a divenire l’ultimo discorso della sua vita e che sarebbe stato udito e visto da milioni di persone; doveva mostrarsi all’altezza della situazione, far vedere a tutti quei selvaggi come sapeva morire un cittadino del mondo libero: anche sua moglie ed i suoi ragazzi lo avrebbero visto e voleva sopra ogni cosa che fossero orgogliosi di lui. Ripensò per un attimo con nostalgia alla sua bella casa in riva al lago, a sua moglie ancora giovane e piacente, alle rare serate passate con i figli davanti alla televisione a vedere la partita o narrando loro delle sue missioni in giro per il mondo, con l’innocente aggiunta, a volte, di qualche esagerazione che rendesse più avventuroso il racconto; si sentì sopraffatto dalla commozione e decise di scacciare quei ricordi, per dedicarsi interamente all’accurata scelta delle parole che stava per pronunciare.
   “Noi siamo soldati, non siamo assassini.” esordì con voce ferma e forte volgendo intorno uno spavaldo sguardo di sfida. “Ho capito perfettamente cosa volete da me, ma uccidere un uomo inerme, per giunta un amico, è l’ultima cosa che intendo fare; perché, lo ripeto, noi non siamo assassini…” Si fermò ammutolito per l’improvvisa visione: la ragazza con l’abito giallo e gli occhi verde smeraldo era passata velocemente dietro due miliziani in prima fila, proprio davanti a lui, scomparendo subito tra la folla; ma quella frazione di secondo era stata sufficiente perché lui la riconoscesse con assoluta certezza: era proprio la stessa ragazza che, insieme ad un suo commilitone, aveva prima stuprato e poi ucciso durante il rastrellamento in un villaggio, quasi un anno prima… Com’era possibile che fosse qui, ora? Si rese conto che tutti si aspettavano che continuasse e riprese a parlare: “Noi portiamo la pace, la giustizia…” Ma cosa diavolo ci faceva, a pochi passi da lui, con le braccia conserte, la testa imbrattata di sangue ed un’espressione severa sul volto, quel vecchio che qualche tempo fa era uscito di corsa dal suo tugurio in fiamme con le mani alzate e che lui aveva centrato in fronte con un colpo magistrale, guadagnandosi la meritata fama di miglior tiratore della compagnia? Si passò una mano sul volto sudato e cercò ancora una volta di riprendere il filo del discorso interrotto, ma la sua attenzione fu stavolta assorbita interamente dalla vista di un ragazzetto esile, accovacciato tra le gambe di un gruppo di miliziani alla sua destra; lo si notava subito perché si passava ripetutamente, con una frenesia rabbiosa, uno straccio sulla faccia bagnata, senza peraltro ottenere risultati apprezzabili: dal suo volto continuava a colare infatti ininterrottamente del liquido giallognolo, come poté verificare lui stesso quando, osservandolo con particolare accuratezza, capì di colpo chi fosse: si trattava del più giovane membro di una famiglia, sterminata durante un bombardamento, sui cadaveri della quale aveva orinato, diversi mesi prima, posando per una foto ricordo di gruppo, tra la spensierata e chiassosa ilarità di tutto il suo reparto. Distolse lo sguardo e s’impose di continuare, rendendosi conto con fastidio che le sue frasi smozzicate potevano indurre tutti a sospettare che fosse in preda ad una incontrollabile paura: “Noi rappresentiamo la civiltà ed il progresso, voi la barbarie…” ma non riusciva a sgombrare i suoi pensieri dalle persistenti immagini della ragazza, del vecchio, del giovinetto, che pareva possedessero la fantastica facoltà di impedirgli di concludere sensatamente i suoi ragionamenti, bloccando sulle sue labbra le frasi che si accingeva a proferire e confondendo fatalmente, nella sua mente, i concetti che aveva intenzione di esprimere; si rammaricò immensamente per questo suo inaspettato insuccesso, avendo la chiara consapevolezza che questo intervento costituiva il suo ultimo atto pubblico sulla scena del mondo, e fu costretto a terminare frettolosamente, con gli occhi rivolti al suolo ed un tono di voce così sommesso da poter essere udito soltanto da coloro che gli stavano accanto, quasi parlando a se stesso: “La guerra è questo, è una sporca faccenda… Voi non siete migliori di me…”; la frase si estinse in un mormorio incomprensibile e non riuscì ad aggiungere altro, chiudendosi  in un assorto mutismo mentre grosse lacrime di rassegnata disperazione gli sgorgavano irrefrenabili e copiose dagli occhi arrossati, precipitando tra i peli della barba incolta. Ad un cenno dell’individuo con la tunica bianca, che lo aveva ascoltato attentamente sfoggiando un sorriso beffardo, fu costretto ad inginocchiarsi nella sabbia, mentre qualcuno, dopo averlo liberato del cappio che gli serrava la gola, si curava diligentemente di legargli le mani dietro la schiena.      

   Essendosi sparsa con notevole velocità la notizia della sua imminente esecuzione, dalla moltitudine radunata sul piazzale, bramosa di godere del macabro spettacolo, si levarono in un’assordante confusione urla, spari, invettive. Abbracciò con lo sguardo tutta quella massa ululante che lo circondava di odio, imponendosi di conservare fino alla fine un atteggiamento sereno e dignitoso. Fu pertanto con autentico sgomento che vide la folla aprirsi inaspettatamente e, nel corridoio che si era così formato, avanzare verso di lui Parker: camminava zoppicando vistosamente e strascicando goffamente la gamba ferita, ma con risoluta determinazione; il coltello dalla larga lama che stringeva saldamente nella mano destra rifletteva a tratti, con bagliori rossastri, il sole che tramontava alle sue spalle.