giovedì 17 novembre 2016

Capitolo 9 - Civiltà e storia

Poco per volta tutti i popoli non occidentali della Terra hanno deciso di reagire drasticamente contro l’atteggiamento mai soddisfatto e piuttosto molesto degli invadenti europei.
In effetti l’ascesa dell’Occidente fino alla sua posizione di dominanza in tutto il pianeta rappresenta la questione principale della storia mondiale moderna.
William McNeill1

La storia mondiale – passata,presente e futura – del dinamismo militare è in ultima analisi un’indagine sull’efficacia delle armi occidentali.
Victor Davis Hanson(2)

Tuttavia una qualsiasi storia delle civiltà nel mondo che minimizzi il grado con cui la loro progressiva subordinazione all’Occidente dopo 1500 anni trascurerebbe un punto essenziale: qualcosa che più di tutte richiede una spiegazione.
L’ascesa dell’Occidente è, piuttosto semplicemente, il fenomeno storico preminente della seconda metà del secondo millennio dopo Cristo.
Si tratta proprio di qualcosa che sta al cuore della storia moderna. Ed è forse l’enigma più intrigante che gli storici devono risolvere.
Niall Ferguson(3)

Nel 1608 Hans Lippershey, un ottico di Middelburg, nei Paesi Bassi, inventò
il telescopio. Nell’arco di pochi decenni questi strumenti si diffusero dall’Europa alla Cina, passando per l’impero moghul in India e per l’impero ottomano.
Tutte e quattro le civiltà si trovarono dunque su uno stesso livello, dal momento che possedevano questo nuovo e potente strumento che dava la possibilità di scrutare l’universo e dedurre le leggi che regolano il movimento dei pianeti.
Gli esperimenti controllati applicabili alla storia sono pochi, ma uno di questi è stato descritto dallo storico della scienza Toby Huff e riguarda proprio il modo in cui fu accolto e usato il telescopio nel diciassettesimo secolo.
Le reazioni delle quattro civiltà all’invenzione di questo potente dispositivo rivelano i tipi di società profondamente diverse che ognuna di esse ha sviluppato.
In Europa il telescopio fu subito rivolto verso le stelle.
Galileo Galilei,dopo aver letto una descrizione dello strumento di Lippershey, ne costruì immediatamente uno proprio.
Fu così il primo a osservare i satelliti di Giove e si servì di questa scoperta per sostenere la teoria copernicana, allora osteggiata,per cui i pianeti, incluso il nostro, sono satelliti del Sole.
A causa di ciò, Galilei entrò in conflitto con la Chiesa e il suo credo di una Terra immobile al centro dell’universo.
Nel 1633 Galilei fu quindi obbligato dal tribunale dell’Inquisizione a ritrattare e da allora fu costretto a vivere confinato in una delle sue residenze fino alla morte.
L’Europa però non era un tutt’uno e l’Inquisizione non aveva il potere di
arrestare la diffusione delle idee di Copernico e Galilei nei paesi
protestanti.
Ciò che Galilei aveva cominciato fu così portato avanti da Keplero e Newton. Lo slancio della Rivoluzione scientifica vacillò appena.
Nel mondo islamico il telescopio raggiunse rapidamente l’impero moghul
dove, nel 1616, fu mostrato dall’ambasciatore britannico alla corte
dell’imperatore Jahāngīr.
Altri esemplari giunsero quindi l’anno seguente. Gli scienziati dell’impero
moghul erano esperti di astronomia, ma il loro interesse risultava confinato ai
temi legati al calendario.
Nel 1628 fu mostrato all’imperatore Shāh Jahān un nuovo calendario, ma lo studioso che lo elaborò si basò sul sistema tolemaico (secondo cui è il Sole a girare intorno alla Terra).
Considerata la notevole familiarità con l’astronomia, sarebbe stato logico
aspettarsi che gli studiosi moghul usassero il telescopio per osservare il
cielo. Tuttavia i progettisti di strumenti astronomici dell’impero non ne
realizzarono e gli scienziati non chiesero di averne:
«Alla fine nessuno degli studiosi moghul si dedicò all’uso del
telescopio per scopi astronomici nel corso del diciassettesimo secolo»
racconta Huff(4).
Il successo del telescopio non fu maggiore nell’altro grande impero
islamico di quel periodo. I telescopi raggiunsero Istanbul non più tardi del
1626 e furono rapidamente inglobati nell’attrezzatura della marina ottomana.
Tuttavia, nonostante la maestria raggiunta dagli islamici nel campo
dell’ottica già dal quattordicesimo secolo, gli studiosi dell’impero
ottomano non mostrarono un particolare interesse per il telescopio.
Gli scienziati si accontentarono della visione tolemaica dell’universo e non fecero alcuno sforzo per tradurre nella propria lingua i lavori di Galilei, Copernico o Keplero.
«Non abbiamo notizie della costruzione di nuovi osservatori, di migliorie apportate al telescopio né di dibattiti cosmologici su ciò che il
telescopio mostrava quando lo si rivolgeva al cielo» spiega Huff(5).

Fuori dall’Europa i più promettenti tra i nuovi utilizzatori del telescopio
furono i cinesi, il cui governo aveva un profondo interesse per l’astronomia.
All’epoca inoltre le nuove scoperte astronomiche europee erano veicolate in
Cina per mezzo di un particolare ed efficace meccanismo: le missioni dei
gesuiti.
Questi religiosi infatti si convinsero che avrebbero avuto
maggiori possibilità di convertire i cinesi al cristianesimo se fossero
riusciti a dimostrare che l’astronomia europea permetteva di calcolare con più
accuratezza gli eventi celesti giudicati di particolare interesse in Cina.
Di certo fu grazie all’impegno dei gesuiti se i cinesi vennero a conoscenza del telescopio nel 1626.
Sembra anzi che già nel 1618 l’imperatore avesse ricevuto un telescopio dal cardinale Borromeo di Milano.
I gesuiti si dedicarono con impegno alla loro missione in Cina, avviata da
Matteo Ricci, un esperto matematico che parlava anche cinese.
Ricci, che morì nel 1610, e i suoi successori avevano importato i più recenti trattati europei sulla matematica e l’astronomia e avevano istruito gli astronomi cinesi impegnati all’epoca a riformare il calendario.
Uno dei gesuiti, Adam Schall von Bell, divenne perfino capo del Tribunale cinese di matematica e astronomia.
In più occasioni i missionari organizzarono sfide per stabilire chi, tra
gli astronomi cinesi che seguivano metodi tradizionali e i gesuiti, riusciva a
fornire le previsioni più affidabili.
I gesuiti vinsero sempre. Per esempio una volta i cinesi previdero che ci sarebbe
stata un’eclissi solare il 21 giugno del 1629, l’imperatore allora chiese ai due
gruppi di indicare il giorno prima dell’evento la durata esatta e l’ora in cui
l’eclissi sarebbe avvenuta.
Gli astronomi che seguivano metodi tradizionali predissero che l’eclissi
avrebbe avuto inizio alle 10:30 del mattino e sarebbe durata 2 ore.
L’evento invece cominciò alle 11:30 del mattino e durò per 2 minuti, esattamente come avevano calcolato i gesuiti.
Questi successi in campo astronomico tuttavia non risolsero il
problema dei missionari.
I cinesi non avevano infatti una grande curiosità per l’astronomia in sé. Piuttosto erano interessati alla divinazione, alla previsione dei giorni propizi per certi eventi, e l’astronomia era considerata semplicemente un mezzo per arrivare ai pronostici.
L’Ufficio astronomico era più che altro una piccola parte del Tribunale dei riti. I gesuiti non erano certi di poter spingere troppo avanti il loro lavoro di previsione, ma erano talmente convinti dell’idea di poter convertire i cinesi attraverso lo studio dell’astronomia che decisero di rischiare comunque.
Questa scelta li portò a confrontarsi con gli ufficiali cinesi, da cui furono denunciati come stranieri che interferivano con gli affari
interni del paese.
Nel 1661 Schall e gli altri gesuiti finirono incatenati in prigione. Condannato all’esecuzione per smembramento, Schall si salvò soltanto perché un terremoto, verificatosi il giorno dopo la sentenza, indusse il tribunale a liberarlo.
Ad ogni modo i cinesi non si dedicarono a migliorare il telescopio, né
mostrarono alcun interesse particolare per il fermento di idee provenienti
dall’Europa a proposito della struttura teorica dell’universo, anche se grazie ai
gesuiti erano al corrente delle ultime ricerche europee.
Gli astronomi cinesi avevano alle spalle una tradizione secolare di osservazioni astronomiche, queste però erano incorporate in un sistema cosmologico che gli studiosi in Cina esitavano ad abbandonare.
La loro xenofobia latente inoltre sosteneva la posizione di resistenza al permeare delle nuove idee.
«È meglio non avere una buona astronomia che avere occidentali in Cina» scriveva a riguardo lo studioso anticristiano Yang Guangxian.

La Cina e il mondo islamico soffrirono di una “mancanza di
curiosità” a proposito del mondo naturale, spiega Huff attribuendo questo
dettaglio ai loro sistemi educativi.
Le differenze tra le società dell’Europa e le altre andavano però molto oltre la
curiosità educativa e scientifica.
Il modo in cui fu accolto il telescopio dimostra che all’inizio del diciassettesimo secolo differenze fondamentali erano già emerse nel comportamento sociale delle quattro civiltà e nelle istituzioni che lo rappresentavano.
Le società d’Europa erano innovative, portate a guardare all’esterno, a sviluppare e applicare nuove conoscenze e sufficientemente aperte e pluraliste da impedire al vecchio ordine di ostacolare il nuovo.
Quelle della Cina e del mondo islamico erano società ancora vincolate alle
strutture religiose tradizionali e troppo asservite alla gerarchia per dare
sostegno al libero pensiero e all’innovazione.

Il dinamismo dell’Occidente

Le tendenze del diciassettesimo secolo messe in luce dall’esperimento
del telescopio di Huff si sono mantenute fino a oggi, sorprendentemente con
pochi cambiamenti.
Quattrocento anni dopo, infatti, le società d’Europa sono ancora più aperte e innovative delle altre.
Le società islamiche tendono sempre a guardare al proprio interno e si
dimostrano tradizionaliste e ostili al pluralismo.
In Cina continua a governare un regime autoritario che sopprime ogni
opposizione organizzata e inibisce il libero fluire delle idee e delle
informazioni.
La stabilità di queste tendenze è un’importante indicazione, anche se non una prova, del fatto che diverse forze evolutive potrebbero aver dato forma alla natura di base di queste società e alle loro istituzioni.

Grazie alle società aperte e innovative che lo compongono,l’Occidente ha potuto acquisire una posizione dominante in molti campi, a dispetto del fatto che i metodi e le conoscenze occidentali sono da molto tempo un libro aperto da cui tutti gli altri possono copiare.
Oggi la maggior parte del mondo è integrata in un sistema economico di tipo occidentale.
Giappone e Cina, due dei principali rivali dell’Occidente in campo
economico, danno pochi segnali di poter diventare innovatori migliori; di
conseguenza quasi tutte le imprese di maggior successo nel mondo si trovano
ancora in Occidente. Statunitensi ed europei dominano tuttora nella maggior
parte dei campi della ricerca scientifica e vincono il maggior numero di premi
Nobel.
L’Occidente predomina tuttora in campo militare. Questa sua posizione
non è stata però sempre stabile. Il Giappone riuscì a sconfiggere la flotta
russa nella battaglia di Tsushima del 1905 e, durante la seconda guerra
mondiale, ridusse i possedimenti coloniali europei dell’Asia orientale.
La Cina combatté fino a un pareggio con gli Stati Uniti nella guerra di Corea mentre l’esercito statunitense non è riuscito a prevalere in Vietnam.
Quando i costi per mantenere le colonie si sono rivelati proibitivi, le potenze europee si sono ritirate da molti dei paesi che avevano colonizzato.
Peraltro le forze occidentali sono sostanzialmente rimaste imbattute
fin da quando riuscirono a opporsi alla minaccia dell’invasione ottomana nel
diciassettesimo secolo.
Negli ultimi secoli i più temibili avversari delle potenze occidentali di fatto sono state altre nazioni dell’Occidente.
La scienza occidentale, uno dei motori della tecnologia, continua a
detenere una posizione di comando rispetto agli altri paesi.
Nonostante qualcuno si aspettasse che il Giappone avrebbe raggiunto vette formidabili,sulla scia della modernizzazione del paese, questa fioritura non si è ancora verificata; e a dispetto degli ingenti investimenti cinesi nella ricerca
scientifica, non c’è alcuna garanzia del fatto che con la semplice forza dei
numeri questo paese possa diventare una potenza scientifica di primaria
importanza.
La scienza è essenzialmente sovversiva in quanto richiede, almeno
per i più importanti progressi, il rovesciamento di teorie accettate fino a
quel momento che vengono sostituite da altre migliori.
Le società dell’Asia orientale tendono ad attribuire un grande valore al conformismo e al rispetto dei superiori, e ciò non aiuta a creare un
terreno fertile per il progredire della scienza.

In tutto il mondo la medicina occidentale si è rivelata più efficace di
quelle tradizionali. La musica, le arti figurative e la cinematografia
dell’Occidente sono di solito caratterizzate da una maggiore creatività
rispetto a quanto viene prodotto nelle culture artistiche dell’Oriente, più legate
alla tradizione locale.
Molti infine considerano l’apertura tipica delle società occidentali come più invitante.
Sarebbe sbagliato attribuire una qualche virtù particolare agli europei considerati come singoli individui, in quanto si differenziano poco da chiunque altro.
L’organizzazione sociale degli europei però, e in particolare le istituzioni
dell’Europa, si sono dimostrate decisamente molto più produttive e
innovative rispetto a quelle delle altre civiltà.
Che cosa spiega quindi l’ascesa e il continuo successo dell’Occidente?

Il determinismo geografico

Una prima possibile spiegazione per l’ascesa dell’Occidente è di tipo
geografico.
Il geografo Jared Diamond è il più recente sostenitore di questa idea.

Nel suo celebre Armi, acciaio e malattie Diamond spiega che gli
occidentali sono più forti degli altri semplicemente perché sono partiti in
vantaggio, potendo godere di condizioni migliori per sviluppare l’agricoltura. La natura stessa delle persone o delle loro società non avrebbe quindi nulla a che fare con questa posizione dominante, secondo l’autore. Tutto nella storia
umana sarebbe stato determinato dalle caratteristiche geografiche, come le
specie di piante e animali disponibili per la domesticazione o le malattie
endemiche in una popolazione ma non in un’altra.
Nonostante la popolarità del libro di Diamond, la sua argomentazione ha
numerose importanti lacune.
Una di queste è il presupposto, antievoluzionistico,che sia soltanto la
geografia a contare e non i geni.
Scrive Diamond che il suo libro potrebbe essere riassunto in un’unica frase: «I
destini dei popoli sono stati così diversi a causa delle differenze ambientali, non
biologiche, tra i popoli medesimi»(7).
Il determinismo geografico, tuttavia, è altrettanto assurdo del determinismo
genetico, dal momento che l’evoluzione riguarda l’interazione tra i due fattori.
Il libro di Diamond è costruito come una risposta alla domanda che un
abitante della Nuova Guinea, un politico locale, un giorno pose all’autore: perché la civiltà occidentale ha prodotto così tanti beni materiali rispetto alla società della Nuova Guinea?
Per rispondere Diamond non dà alcun peso all’ascesa della scienza moderna, alla Rivoluzione industriale e alle istituzioni economiche grazie alle quali gli europei sono riusciti alla fine a sfuggire alla trappola malthusiana.
Certamente quando gli europei importarono i loro modelli di sviluppo economico in Australia riuscirono rapidamente a creare e a far
funzionare un’economia di tipo europeo.
Gli aborigeni, che rappresentavano la popolazione indigena, in quel momento
erano ancora in pieno Paleolitico e non mostravano alcun segno di sviluppo
verso una cultura materiale più avanzata.
Ma se nello stesso ambiente, quello australiano, una popolazione può dar
vita a un’economia altamente produttiva e un’altra non riesce a farlo, di certo non può essere l’ambiente l’elemento decisivo, come suggerisce Diamond: al contrario deve trattarsi di qualche differenza fondamentale nell’essenza dei due popoli e delle loro società.
Lo stesso Diamond propone questa contro-argomentazione, ma soltanto per
accantonarla come “odiosa” e “razzista”, usando uno stratagemma
grazie al quale evita di doverne esaminare gli aspetti validi.
Anche se demonizzare gli oppositori delle proprie idee è un metodo molto in voga nelle diatribe accademiche, non è a ben vedere razzista considerare l’esistenza di categorie razziali come un possibile fattore esplicativo.
Lo stesso Diamond lo fa quando serve ai suoi scopi.
Per esempio a un certo punto afferma che «la selezione naturale in favore dei geni dell’intelligenza dev’essere stata assai più severa in Nuova Guinea che nelle nostre società complesse e sovrappopolate […]; i guineani
mostrano in media di avere migliori funzioni mentali degli occidentali […]
sembrano più intelligenti di noi a livello genetico»(8).

In realtà questa improbabile congettura non è convalidata da alcuna
prova(9).
Ugualmente curiosa è l’idea di Diamond per cui l’intelligenza sarebbe
favorita più probabilmente nelle società dell’Età della pietra invece che in quelle moderne.
L’intelligenza al contrario dovrebbe essere più favorita nelle società moderne perché è decisamente più richiesta.
Gli asiatici orientali e gli europei che hanno costruito queste società infatti hanno punteggi del QI più elevati, che possono indicare una più
spiccata intelligenza, rispetto a chi vive nelle società tribali o dei cacciatori-raccoglitori.
Armi, acciaio e malattie è diventato un libro molto popolare, tuttavia i molti lettori che presumibilmente non si sono preoccupati delle strane affermazioni controfattuali di Diamond si sono lasciati sfuggire un’importante aspetto di questo testo.
Il lavoro infatti è basato sull’ideologia, non sulla scienza.
Le affermazioni interessanti sulla disponibilità delle specie
addomesticabili o sulla diffusione delle malattie non sono obiettive ma sono
sfruttate a sostegno del determinismo geografico, il cavallo di battaglia di
Diamond, a sua volta architettato per distogliere il lettore dall’idea che i geni
e l’evoluzione possano aver svolto un qualche ruolo nella storia umana
recente.
Indubbiamente la geografia e il clima hanno avuto una notevole
importanza, ma non nel modo preponderante suggerito da Diamond.
Gli effetti della geografia sono più facili da osservare in senso negativo,
soprattutto per il loro ruolo nel rallentare l’urbanizzazione in regioni
con bassa densità abitativa come l’Africa e la Polinesia.
Molto più difficile da capire è perché l’Europa e l’Asia orientale, trovandosi per lo più alle stesse latitudini, abbiano seguito percorsi diversi.
Se la geografia offre soltanto un primo abbozzo della risposta, l’economia ci dà forse una giustificazione più dettagliata dell’ascesa dell’Occidente?

Come è stato spiegato nel Capitolo 7, gli storici dell’economia di solito considerano fattori come le istituzioni e la disponibilità di risorse per spiegare la
genesi della Rivoluzione industriale.
Molte delle apparenti condizioni che hanno portato al successo della
Rivoluzione industriale però erano presenti in Cina così come in Inghilterra,e ci offrono pertanto ben poche spiegazioni del prevalere
dell’Occidente.
«Quasi tutti gli elementi solitamente considerati dagli storici un
importante contributo alla Rivoluzione industriale nell’Europa nordoccidentale
erano presenti anche in Cina» spiega lo storico Mark Elvin(10).

Gli studiosi che considerano le istituzioni come fattore chiave della
Rivoluzione industriale hanno enfatizzato la Gloriosa rivoluzione del
1688, che pose il sovrano inglese sotto il rigido controllo del Parlamento e
razionalizzò gli incentivi economici.
Sia la Gloriosa rivoluzione sia la Rivoluzione industriale che l’ha seguita
però rappresentano sviluppi tardivi dell’ascesa dell’Occidente, le cui cause
fondamentali dovrebbero risalire,secondo gli storici, a un periodo molto
antecedente.
In un recente saggio che cerca di spiegare l’ascesa dell’Occidente, lo
storico Niall Ferguson ha citato sei fattori, il primo dei quali è la
competizione.
Con questo termine Ferguson intende «una decentralizzazione della vita politica
[…] che ha fatto da piattaforma di lancio sia per gli Stati-nazione sia per il
capitalismo»(11).
Si tratta di un altro modo per dire che l’Occidente, in linea generale, apprezzava le società aperte con istituzioni in competizione, rispetto al dispotismo senza fine dell’Oriente.

La società aperta rese possibile la nascita delle altre istituzioni che per
Ferguson sono state indispensabili per l’ascesa dell’Occidente.
Una di queste è lo Stato di diritto, che include la proprietà privata e la presenza dei rappresentanti dei proprietari nell’assemblea legislativa; ci sono poi i
progressi compiuti nei campi della scienza e della medicina e la crescente
economia alimentata dalla tecnologia e dalla domanda del consumatore.

Nel corso di circa 500 anni la civiltà occidentale è giunta a una
posizione di straordinario dominio nel mondo […].
La scienza occidentale ha mutato i paradigmi;
chi non si è adeguato è rimasto inevitabilmente indietro.
I sistemi giuridici occidentali, e i modelli politici da essi derivati,
democrazia compresa, hanno destituito o sconfitto tutte le
alternative non occidentali […].
Soprattutto, il modello occidentale di produzione industriale e di
consumo di massa ha fatto affondare ogni altro modello di
organizzazione economica.(12)
Una società con diversi centri di potere ha meno probabilità rispetto a
un’autocrazia di ostacolare la circolazione di nuove idee o di bloccare
l’innovazione e la capacità imprenditoriale.
L’Europa si è così rivelata un ambiente più fertile rispetto
alla Cina per favorire lo sviluppo della scienza e della medicina e per l’ascesa del capitalismo.
Nella sua analisi Ferguson si limita ad affermare che l’Occidente ha avuto successo in quanto società aperta, e tuttavia questa
spiegazione è limitata, dal momento che non dice per quale motivo l’Occidente da solo abbia sviluppato una società di questa natura.
«Questa apertura della società, unitamente alle sue capacità
innovative, è ciò che deve essere spiegato» scrive lo storico
dell’economia Eric Jones(13).


Come è avvenuta l’ascesa dell’Occidente

Circa 50.000 anni fa un vasto esperimento naturale ebbe inizio quando
gli esseri umani moderni si dispersero intorno al globo dalla loro madrepatria
ancestrale.
Nelle terre dell’Africa, dell’Australasia, dell’Asia orientale,dell’Europa e delle Americhe l’uomo sviluppò tipi molto diversi di società in base alle varie sfide che si trovò ad affrontare.
Almeno negli ultimi 500 anni, un periodo di cui abbiamo testimonianze
dettagliate, ma forse per un tempo ancora più lungo, queste differenze si
sono rivelate di natura durevole.
Questo esperimento naturale, che si è verificato come minimo in cinque
diverse versioni in parallelo per la maggior parte del tempo, ha avuto un
esito complesso.
Un primo esito risulta chiaro: dalla stessa argilla umana hanno
preso forma vari tipi di società.
L’Australia funge in qualche modo da elemento di base per fare confronti.
Circa 46.000 anni fa il continente australiano fu raggiunto e occupato da
migranti che provenivano dalla madrepatria africana.
Secondo le prove tratte dallo studio del DNA, i discendenti di questi primi abitanti riuscirono a tenere alla larga tutti gli estranei fino all’arrivo degli europei nel diciassettesimo secolo.
A quel tempo il loro stile di vita era poco cambiato: gli aborigeni infatti vivevano ancora in società tribali senza città o centri urbani
e avevano una tecnologia non molto diversa da quella dei cacciatori
paleolitici che raggiunsero l’Europa nello stesso momento in cui i loro
antenati giunsero in Australia.
Nei 46.000 anni in cui rimasero isolati gli aborigeni non inventarono la ruota né
l’arco e le frecce e vissero in una condizione di perpetuo conflitto tra tribù
vicine.
Il più consistente avanzamento culturale fu lo sviluppo di una forte
religiosità, con rituali che duravano giorno e notte per mesi interi.
La possibilità di dedicare tempo a queste forme di devozione tanto elaborate
derivava dalla capacità degli aborigeni di sopravvivere in un ambiente quasi
desertico in cui qualsiasi nuovo venuto era destinato a perire.
A causa però della scarsa crescita della popolazione e
dell’assenza della pressione demografica, le tribù degli aborigeni
non furono mai spinte a promuovere il processo di formazione di Stati o la
costruzione di imperi come quelli a cui diedero forma le altre civiltà.

In Africa, dove le popolazioni erano più grandi di quelle australiane,
l’agricoltura fu prontamente adottata e le società stanziali si svilupparono presto.
Da queste emersero in modo graduale società più complesse e alcuni Stati
primitivi. Tuttavia a causa della scarsa densità della popolazione, questi Stati
primitivi non raggiunsero la fase della rivalità politica e del conflitto perpetuo
che portarono alla nascita degli imperi in Mesopotamia o nella valle del fiume
Giallo e, più avanti, negli altopiani andini.
In Africa la popolazione contava appena 46 milioni di abitanti nel
sedicesimo secolo.
Poiché il suolo era in gran parte povero, non c’erano surplus di prodotti agricoli e, di conseguenza, nessun incentivo a sviluppare diritti di proprietà.
La mancanza della ruota e di fiumi navigabili resero difficili i trasporti
all’interno dell’Africa e il commercio poté così svilupparsi soltanto su piccola
scala.
In seguito alla mancanza di pressione demografica, le società
africane avevano pochi incentivi a promuovere le capacità che il
commercio di solito stimola, come accumulare capitale, sviluppare
occupazioni specializzate o generare società moderne.
La fase della costruzione degli Stati o di un impero era appena agli inizi quando fu rapidamente troncata dalla colonizzazione europea.

Nelle Americhe la storia ebbe inizio soltanto 15.000 anni fa, quando i primi
esseri umani attraversarono il ponte di terraferma che allora univa Siberia e
Alaska. Importanti imperi nacquero in Messico, in America centrale e sulle
Ande.
La popolazione tuttavia impiegò molti anni per raggiungere la densità
critica necessaria a stimolare la formazione di Stati.
Gli aztechi e gli inca fecero soltanto un piccolo passo verso la formazione di Stati moderni, ed erano già debilitati da questioni interne
quando i conquistadores si presentarono alla loro soglia.

Soltanto in Eurasia quindi si formarono Stati e imperi di
considerevoli dimensioni.
Il clima e le caratteristiche geografiche più favorevoli permisero la crescita delle popolazioni.
Sotto l’influenza del commercio e della guerra, che stimolarono le trasformazioni, nacquero imperi in Cina, India, nel Vicino Oriente
e in Europa.
È difficile identificare le influenze che hanno dato forma alla popolazione
europea prima del quinto secolo, quando crollò l’impero romano d’occidente.
In termini geografici l’Europa era allora formata da un insieme di aree
disboscate, chiazzate qua e là da foreste,montagne e paludi.
Queste regioni disboscate e coltivabili divennero il nucleo dei nuovi sistemi di governo che cominciarono a emergere diventando
Stati distinti intorno al 900.
Questo processo di deframmentazione però fu lento.
Nel quattordicesimo secolo in Europa si potevano distinguere quasi
1000 unità politiche distinte; gli Stati-nazione cominciarono a svilupparsi
nel quindicesimo secolo, e nel ventesimo erano 25(14).

Per contro, la geografia della Cina spostò il comportamento sociale della
popolazione cinese incanalandolo in una direzione molto diversa.
Nella pianura fertile tra il fiume Giallo e lo Yangtze la popolazione crebbe stabilmente e ben presto si ritrovò immersa nella classica
competizione tra Stati del tipo “chi vince piglia tutto”.
Così la Cina fu unificata già nel 221 a.C. e rimase un’autocrazia, soggetta a periodiche razzie di potenti popoli nomadi provenienti dai confini settentrionali
dell’impero.
«Un’osservazione obiettiva degli ultimi diecimila anni della storia
umana» scrive l’antropologo Peter Farb, «mostrerebbe che per quasi tutto quel
periodo gli abitanti dell’Europa settentrionale erano una razza barbarica
inferiore, che viveva nello squallore e nell’ignoranza ed era poco creativa»(15).

Tuttavia all’inizio del Medioevo una combinazione favorevole di fattori mise
gli europei nella condizione di sviluppare una forma di organizzazione
sociale di particolare successo.
Tra questi fattori c’era una geografia in grado di favorire l’esistenza di un certo
numero di Stati indipendenti ostacolando la possibilità che uno solo dominasse su tutti gli altri.
Un altro fattore fu la popolazione, abbastanza numerosa da incoraggiare la stratificazione sociale e il commercio.
La Chiesa fu poi un centro indipendente di influenza che pose
qualche limite al potere dei governatori locali.
Nel tredicesimo secolo l’Europa era ancora arretrata rispetto alla Cina e
al mondo islamico, ma le sue istituzioni avrebbero ben presto alimentato una
vera e propria esplosione senza precedenti nei campi dell’innovazione
promossa, in particolare, dall’incremento delle conoscenze
scientifiche.

Le origini della scienza moderna

Una caratteristica distintiva della civiltà occidentale è rappresentata dalla
nascita della scienza moderna.
Le ricerche sulle sue origini possono rivelare quali furono i fattori essenziali
che spinsero le società europee in questa particolare direzione.
Un confronto attento tra le conquiste scientifiche dell’Europa, del mondo
islamico e della Cina è stato compiuto dallo storico della scienza Toby Huff,
già citato per l’esperimento del telescopio.
Chiunque consideri le caratteristiche del mondo nel tredicesimo secolo potrebbe essere portato a pensare che la scienza moderna avesse più probabilità di
nascere nel mondo islamico o in Cina che non in Europa.
Le opere scientifiche dell’antica Grecia furono tradotte in
arabo tra il dodicesimo e il tredicesimo secolo.
Gli scienziati di lingua araba (tra cui ebrei, cristiani e iraniani oltre
che arabi) trasformarono la scienza araba nella più avanzata al mondo tra
l’ottavo e il quattordicesimo secolo.
Questi scienziati stabilirono le basi della matematica, dell’astronomia, della
fisica, dell’ottica e della medicina,inoltre perfezionarono la trigonometria e
la geometria sferica.
Anche la Cina poteva sembrare un terreno fertile per la nascita della
scienza moderna.
Le tre invenzioni citate da Francis Bacon nel 1620 come le più
grandi mai realizzate dall’uomo (bussola, polvere da sparo e stampa)
erano tutte di origine cinese.
Oltre alla capacità inventiva in campo tecnologico,la Cina aveva una lunga storia di osservazioni astronomiche, indispensabili per comprendere il
funzionamento del sistema solare.
La scienza araba e quella cinese tuttavia progredirono stentatamente più o
meno per le stesse ragioni.
La scienza non è il risultato dell’attività indipendente di individui solitari ma è un prodotto sociale, frutto del lavoro di una comunità di studiosi che controllano,criticano e portano avanti il lavoro l’uno dell’altro.
La scienza pertanto ha bisogno di istituzioni sociali, come le
università o gli istituti di ricerca, per prosperare e questi devono essere
ragionevolmente liberi da costrizioni intellettuali imposte da autorità religiose o dal governo.
Nel mondo islamico e in Cina, come si è visto, non c’era spazio per
istituzioni indipendenti.
Nell’Islam c’erano le madrase , istituti per l’educazione religiosa legati alle
moschee. Il primo scopo di queste scuole era insegnare la cosiddetta
scienza islamica, ossia lo studio del Corano e della legge islamica, mentre non c’era spazio per le scienze straniere, come venivano indicate le scienze naturali.
Gran parte della filosofia dell’antica Grecia era in contrasto con i precetti del Corano e fu quindi esclusa dall’insegnamento.
Gli studiosi in disaccordo con le autorità religiose correvano il rischio di essere
costretti al silenzio con la fatwa.
La tradizione intellettuale islamica,secondo cui il Corano e le parole di
Maometto contengono tutta la scienza e la legge, creò un ambiente ostile allo sviluppo di tutte le linee di pensiero indipendenti.
I governatori islamici evitarono per molto tempo le critiche proibendo la
stampa e reprimendo i campi di indagine più problematici.
In Europa l’interesse per la nuova conoscenza non era limitato
a un’élite ma pervadeva una società in cui l’alfabetizzazione si stava
diffondendo sempre di più.
Nel sedicesimo secolo c’erano 1700 stamperie sparse in 300 città d’Europa,
in ogni paese, con l’eccezione della Russia(16).
Nell’impero ottomano un decreto del sultano Selim I istituì la
pena di morte per chiunque avesse usato un torchio da stampa.
A Istanbul la stampa arrivò soltanto nel 1726, ma gli stampatori non riuscirono a pubblicare che pochi titoli prima di essere costretti a chiudere.
Le autorità religiose dei paesi islamici disdegnavano tutte le fonti di
conoscenza diverse dal Corano ed esercitarono spesso il proprio potere
per sopprimerle.
Istituti come il notevole osservatorio di Maragha in Iran, fondato nel 1259, ebbero vita breve.
Nel 1580 addirittura un osservatorio in costruzione a Istanbul fu
raso al suolo per motivi religiosi prima ancora di essere completato(17).

L’economista Timur Kuran ha di recente affermato che il mondo islamico
è rimasto indietro dal punto di vista economico soprattutto a causa della
rigidità della legge islamica in materia di commercio.
Le imprese, per esempio, potevano sciogliersi in seguito alla morte di uno qualsiasi dei soci se i suoi eredi pretendevano un pagamento
immediato.
«In sintesi, molti degli elementi che si autorinforzano nella legge islamica (clausole per i contraenti, sistema di trasmissione ereditaria, regolazione dei matrimoni) contribuirono insieme alla stagnazione delle infrastrutture commerciali del Medio Oriente» scrive Kuran(18).
Ciononostante l’idea di incolpare la legge islamica non è molto convincente:
gli europei dovettero far fronte a leggi simili impostate sulla teologia, come
quelle contro l’usura, tuttavia fecero in modo che fossero soddisfatti i più vasti
scopi della società.
Nel mondo islamico le forze della modernità non imposero mai allo Stato ottomano di riformare il proprio sistema legale prima del
diciannovesimo secolo.
Come è possibile che la scienza araba fosse così avanzata tra l’ottavo e
il quattordicesimo secolo, nonostante queste condizioni avverse?
La ragione, secondo Huff, è che nei primi secoli del dominio musulmano erano poche le persone convertite all’Islam.
Ma quando il ritmo delle conversioni aumentò, nel decimo secolo, la maggioranza musulmana divenne la normalità, con una dinamica «che probabilmente ebbe conseguenze negative per la ricerca nel campo delle scienze naturali e della vita intellettuale nel suo complesso»(19).

La Cina, anche se per ragioni diverse, sviluppò nei confronti della
scienza moderna la stessa ostilità che caratterizzò il mondo islamico.
Uno dei problemi della Cina era l’assenza di istituzioni indipendenti dall’imperatore:
non c’erano università e le accademie,quando esistevano, erano essenzialmente
luoghi in cui ci si preparava per gli esami imperiali.
I pensatori indipendenti non erano incoraggiati.
Quando Hungwu,il primo imperatore della dinastia Ming, decise che gli studiosi erano fuori controllo, condannò a morte 68 diplomati e 2 studenti, e ai lavori forzati altri 70 diplomati e 12 studenti.
Il problema con la scienza cinese, scrive Huff, non fu qualche imperfezione
tecnica «bensì il fatto che le autorità cinesi non crearono né tollerarono
istituzioni educative indipendenti di alto livello all’interno delle quali gli
studiosi potessero svolgere in autonomia le proprie ricerche»(20).

La Cina,diversamente dal mondo islamico, non bandì le stamperie, ma i libri che si producevano erano riservati soltanto all’élite.
Un altro ostacolo al pensiero indipendente era un sistema educativo
istupidente, che consisteva nella memorizzazione e ripetizione meccanica
degli oltre 500.000 caratteri che costituivano i testi classici di Confucio.
A questo si aggiungeva soltanto la capacità di scrivere un commento
stilizzato degli stessi.
Il sistema dell’esame imperiale, inaugurato nel 124 a.C., assunse la sua forma definitiva nel 1368 e rimase immutato fino al 1905, impedendo un rinnovamento intellettuale per altri cinque secoli.
Il fatto che la scienza moderna sia stata così a lungo ostacolata in Cina e
nel mondo islamico tuttavia non deve far pensare che il suo sviluppo in Europa
fosse in qualche modo certo.
Anche l’Europa infatti aveva sacche di privilegio che si opponevano alle
innovazioni tecnologiche e a ciò che avrebbe potuto cambiare le cose.
Le autorità religiose europee, proprio come nel mondo islamico, si affrettavano a scoraggiare chi metteva in dubbio la dottrina della Chiesa.
Nel 1270 il vescovo di Parigi, Étienne Tempier, condannò 13 proposizioni filosofiche formulate da seguaci di Aristotele, la cui filosofia aveva guadagnato un certo consenso nelle università d’Europa.
Il vescovo proseguì poi nel 1277 proibendo la discussione di 219 tesi filosofiche e teologiche all’università di Parigi.
L’Europa però differiva dalla Cina e dal mondo islamico perché le sue
strutture educative avevano una notevole indipendenza.
Il concetto europeo di società intesa alla stregua di un’entità
giuridica conferì una certa libertà di pensiero e di azione a strutture come le
gilde e le università.
Le autorità ecclesiastiche potevano criticare quanto veniva insegnato o dibattuto, ma non potevano sopprimere per sempre le idee scientifiche.
Anche se le università d’Europa cominciarono dall’insegnamento della
teologia, come avveniva nelle madrase,ben presto gli interessi si spostarono
verso la filosofia di Aristotele e poi dalla filosofia alla fisica e
all’astronomia.
Nell’ambito di queste istituzioni gli scienziati cominciarono lo
studio sistematico della natura, ponendo così le basi della scienza moderna.
L’esistenza delle università spiega in che modo la scienza sia riuscita a
prosperare in Europa e non in Cina o nel mondo islamico, ma resta ancora da
capire perché la scienza moderna sia in prima istanza emersa nel continente
europeo.
Quali furono i fattori preesistenti, non scientifici, che permisero la nascita dell’attività scientifica?
Huff suggerisce un’interessante risposta: «Il mistero del successo della scienza moderna in Occidente (e del suo fallimento nelle civiltà non occidentali) si può risolvere indagando negli ambiti non scientifici della cultura, vale a dire la religione, la filosofia, la teologia e altri simili»(21).

La teologia cristiana aveva una ricca tradizione di argomentazioni e
ragionamenti su fini questioni dottrinali,molte delle quali legate
all’interpretazione del complesso dogma della Trinità.
Da queste dispute, le menti degli europei dedussero l’idea che la
ragione fosse da intendere come un attributo umano: era la ragione quindi a
separare l’uomo dall’animale.
Aiutata dalla riscoperta del diritto civile romano verso la fine dell’undicesimo
secolo, l’Europa sviluppò in questo modo il concetto di sistema legale.
La ragione e la coscienza furono adottate come criteri per dirimerne le pratiche, e in questo modo il passo fu breve per formulare il concetto di legge naturale,
per ipotizzare l’esistenza di un “libro della natura” e di un “meccanismo del
mondo” che potesse essere compreso dalla ragione umana.
Secondo Huff insomma fu la rivoluzione nel pensiero legale compiutasi tra dodicesimo e tredicesimo secolo a trasformare la società medievale in Europa rendendola un terreno fertile per lo sviluppo della
scienza moderna.

I frutti dell’apertura

I concetti di legge e ragione che stimolarono la nascita della scienza
moderna in Europa servirono anche come base per lo sviluppo di una società
aperta. Il commercio e l’esplorazione,che gli imperatori cinesi potevano
sopprimere a proprio piacimento,divennero allora forze fondamentali per
l’espansione europea.
In un periodo di guerre intermittenti,il commercio tra le varie regioni
europee cresceva vigoroso.
Gli scambi commerciali ebbero infatti un ruolo importante nell’indurre gli europei a esplorare il mondo: dopo il 1490 Vasco da Gama giunse in India e Cristoforo Colombo nelle Americhe.
Questi viaggi dimostrarono anche la peculiare curiosità degli europei per il mondo.
L’esplorazione fu incentivata con lo sviluppo di nuove invenzioni tecniche
che diedero il via alla scienza moderna e all’emergere del capitalismo.
Fu l’Europa a scoprire il mondo e non il contrario.
L’ammiraglio cinese Zheng He organizzò numerosi viaggi
verso l’Asia sudorientale e l’Africa all’inizio del quindicesimo secolo, ma
questi non ebbero seguito.
Dopo aver scoperto il resto del mondo, gli europei stabilirono rotte commerciali che, in molti casi, portarono alla conquista delle nuove terre.
Gli europei spazzarono via le società tribali senza troppe difficoltà, inviando coloni a occupare le Americhe, l’Australia e larghi tratti dell’Africa.
Le radici della unicità degli europei si possono far risalire molto indietro,
addirittura all’undicesimo secolo, se non prima, tuttavia agli inizi del
quindicesimo l’incombente ascesa dell’Europa doveva risultare tutt’altro
che evidente.
L’impero ottomano a quel tempo si stava ancora espandendo, la Cina godeva di un periodo di stabilità sotto la dinastia Ming, l’impero moghul stava per emergere in India.
Questi tre centri di potere erano più grandi di qualsiasi centro in Europa.
L’Europa era priva del vantaggio militare dato da unioni e alleanze,
tuttavia poté rimanere più a lungo frammentata, sia pur limitatamente,
perché, a differenza della Cina, non era sotto la continua minaccia delle
invasioni straniere.
Trovandosi all’estremità occidentale del continente eurasiatico, l’Europa era protetta a est dagli Stati cuscinetto della Russia e di Bisanzio.
Così, a partire dal decimo secolo, dopo aver respinto i violenti
attacchi dei vichinghi, dei magiari e dei musulmani, l’Europa si trovò
ragionevolmente libera dalle aggressioni esterne.
L’Inghilterra, naturalmente avvantaggiata dal fatto di essere
un’isola, si sentì sicura come mai prima di allora.
Diversamente dai cinesi, gli europei non furono dunque mai costretti a
cercare o ad accettare un regime autocratico abbastanza forte da
proteggerli da invasori esterni.
In Europa i cittadini si permisero il lusso di preferire l’indipendenza, combattendo soltanto gli uni contro gli altri.
I conflitti interni garantirono i vantaggi che derivano dalla competizione militare,ma la geografia e gli assetti politici non portarono al consueto finale in cui resta un solo impero permanente.
Nessuno degli imperi europei nati dopo quello romano, che fossero guidati da Carlo Magno, dagli Asburgo, da Napoleone o da Hitler, fu mai completo, e tutti ebbero vita breve.
Nelle società autoritarie chi governa può imporre tasse, organizzare eserciti e
dichiarare guerra.
In linea di principio gli Stati autoritari della Cina e del mondo islamico avrebbero dovuto contare su una forza militare maggiore
rispetto a quella di una manciata di Stati separati in Europa, guidati da sovrani
costretti, chi più e chi meno, ad accettare leggi locali ed élite.
In effetti fu così per molti secoli.
Nel tredicesimo secolo, per esempio, l’Europa non riuscì a fermare l’esercito mongolo, che invase Polonia, Ungheria e Sacro romano
impero cercando di raggiungere la costa atlantica.
Furono invece i mongoli nel 1241 a scegliere volontariamente di
ritirarsi dall’Europa quando morì il gran Khan Ögedei e si scatenò in Mongolia
una guerra interna per la successione.
Dopo la caduta dell’impero bizantino nel 1453 e l’eliminazione del cuscinetto
che aveva separato l’Europa dall’orda turca, gli eserciti ottomani riuscirono a
penetrare nelle terre europee spingendosi fino alle porte di Vienna nel
1529 e poi di nuovo nel 1683.
La crescente ricchezza e la capacità inventiva dell’Europa finirono tuttavia
per ribaltare questa condizione di debolezza militare.
L’arretratezza europea nel sedicesimo secolo, che poteva emergere dal confronto con l’impero cinese e quello islamico, era in realtà soltanto apparente. Ben presto spedizioni europee avrebbero conquistato l’India, l’America
settentrionale e meridionale, l’Australia e la maggior parte dell’Africa.
Anche se occupa soltanto il 7 per cento delle terre emerse del pianeta, l’Europa dominava sul 35 per cento delle terre nel diciannovesimo secolo e sull’84 per
cento nel 1914.
A differenza di quanto avveniva in Europa, dove scienza, tecnologia e
industria erano strettamente interconnesse, in Cina l’industria non
sfruttò la tecnologia e non ebbe mai il permesso di svilupparsi in modo
autonomo.
L’entusiasmo della Cina per le invenzioni si era da lungo tempo
anchilosato; i mandarini non apprezzavano le novità e anzi
respingevano le invenzioni straniere mancando della curiosità che permise
invece agli europei, avventurosi in termini intellettuali, a spingersi oltre la
tecnologia per scoprire i principi scientifici che la regolavano.

In Cina non c’erano il libero mercato né un diritto di proprietà
istituzionalizzato. «Lo Stato cinese interferiva continuamente nell’attività
delle imprese private, assumendo il monopolio delle attività lucrative,
proibendone altre, manipolando i prezzi,esigendo tangenti, ostacolando
l’arricchimento privato» scrive lo storico dell’economia David Landes.
«Il malgoverno soffocò l’iniziativa,aumentò i costi delle transazioni e
distolse il talento dal commercio e dall’industria»22.

Secondo le lapidarie parole di Adam Smith: «Per portare uno Stato al
più alto grado di opulenza, dal livello più basso di barbarie, serve poco altro
che pace, giuste tasse, giusta amministrazione della giustizia. Tutto il
resto viene da sé»(23).

Dicendo «poco altro» tuttavia si minimizza la questione.
La pace, le giuste tasse e la giustizia non si trovano spesso insieme nel corso
della storia. Soltanto in Europa è stata raggiunta questa formula magica che è
diventata la base per l’impensabile ascesa dell’Europa nel mondo.

La risposta adattativa alle diverse società


Nel suo libro La ricchezza e la povertà delle nazioni, lo storico dell’economia David Landes esamina ogni possibile fattore capace di spiegare l’ascesa dell’Occidente e la stagnazione della Cina e conclude, in sostanza,che la differenza è insita nella natura dei popoli.
Landes attribuisce un fattore decisivo alla cultura, ma nella sua
descrizione della cultura è implicita l’esistenza di razze.

Se la storia dello sviluppo economico ci insegna qualcosa, è
che a fare la differenza è la cultura.
Prendiamo ad esempio l’industriosità delle minoranze di
emigrati, i cinesi in Asia orientale e sudorientale, gli indiani in Africa
orientale, i libanesi in Africa occidentale, ebrei e calvinisti in
gran parte d’Europa e via dicendo.

La cultura, tuttavia, intesa nel senso di corpo di consuetudini e valori morali che caratterizza una popolazione, spaventa gli studiosi,emana un sulfureo odore di razza ed eredità, evoca un senso di plumbea immutabilità.(24)

Odore sulfureo o no, la cultura di ciascuna razza, che abbia una base
genetica o ne sia priva, è ciò che conta per Landes nello sviluppo economico.

Se consideriamo l’unicità delle società europee e il periodo di tempo in cui il
comportamento sociale degli europei deve aver seguito un proprio percorso di
sviluppo (almeno 1000 anni), questo comportamento può davvero essersi
adattato, a livello genetico, per far fronte alle sfide e sopravvivere
prosperando in Europa.

Prove a favore di questa possibilità sono i dati raccolti
da Clark sulla riduzione della violenza e l’incremento dell’alfabetizzazione in
Inghilterra tra il 1200 e il 1800 (descritti nel Capitolo 7).

Anche se non esistono dati equivalenti per la popolazione cinese,
sappiamo che la loro società è rimasta distinta per un tempo ancora più lungo,
almeno 2000 anni, durante il quale per sopravvivere i cinesi devono aver
superato pressioni intense (esaminate nel Capitolo 7) adattandosi alla propria
società esattamente come gli europei si sono adattati alle loro.

Gli psicologi che studiano i comportamenti delle popolazioni
europee e dell’Asia orientale di solito attribuiscono alla cultura tutte le
differenze esistenti.
Da una prospettiva evoluzionistica, tuttavia, questa tesi è poco plausibile. Il comportamento sociale delle persone ha un ruolo fondamentale per la sopravvivenza di una società.

Questo comportamento pertanto deve essere stato modellato con
altrettanta finezza rispetto alle condizioni ambientali prevalenti proprio
come è accaduto per altri caratteri che ci permettono di distinguere le razze, per
esempio il colore della pelle o quello dei capelli.

Le istituzioni proprie di una società sono un miscuglio di comportamenti
determinati culturalmente e influenzati dai geni.

La componente culturale può essere riconosciuta perché di solito si
modifica più rapidamente, a dispetto dell’attitudine conservatrice di molte
istituzioni culturali.
La guerra, per esempio, è un’istituzione comune a tutte le società umane, ma il fatto che la propensione allo scontro (che ha una base genetica) sia esercitata o no dipende dalla cultura e dalle circostanze.

Germania e Giappone hanno avuto società profondamente militariste
prima e durante la seconda guerra mondiale, eppure oggi entrambi i paesi
sono di gran lunga pacifici.

Questo cambiamento culturale è decisamente troppo rapido per avere natura genetica.
Entrambi i paesi conservano con buona probabilità la loro propensione per la
guerra e la eserciterebbero se ne avessero la necessità.
Un aspetto distintivo dei comportamenti modellati geneticamente
è il loro persistere immutati nel corso di molte generazioni.

La presenza di un radicamento genetico potrebbe spiegare,
per esempio, perché le popolazioni di inglesi espatriati nel mondo si siano
comportate allo stesso modo, ossia come la loro popolazione di origine, per
molti secoli e perché lo stesso sia avvenuto per i cinesi fuori dal loro
paese.

Ipotizzare una base genetica per il comportamento sociale spiegherebbe
anche perché sia così difficile per le altre popolazioni copiare le
caratteristiche desiderabili di questi gruppi.

Gli abitanti della Malesia, della Thailandia e dell’Indonesia che
convivono con prospere popolazioni di cinesi immigrati possono invidiarle ma
stranamente non riescono a copiarle.

Le persone sono molto portate all’imitazione e, se il successo
imprenditoriale dei cinesi fosse soltanto culturale, chiunque potrebbe adottarne senza difficoltà i metodi.

Se i cinesi e gli altri non vengono imitati, probabilmente è perché il
comportamento sociale ha in parte una componente genetica che si aggiunge a
quella culturale, più facilmente riconoscibile.

La base genetica del comportamento sociale umano è ancora
in larga misura poco chiara: non si sa con precisione come siano scritti i
controlli neurali che influenzano il modo in cui ci comportiamo.

Per esempio esiste chiaramente una propensione genetica a evitare l’incesto.

Tuttavia è poco probabile che il controllo genetico sia scritto esattamente in questi termini. I registri dei matrimoni tra membri dei kibbutz in Israele e tra famiglie cinesi di Taiwan suggeriscono che il tabù dell’incesto dipenda dall’avversione a sposare partner che si conoscono
intimamente fin dall’infanzia.

Pertanto il controllo neurale probabilmente deve essere qualcosa come “la persona che cresce con voi sotto lo stesso tetto non rappresenta il giusto partner da sposare”.

Ma gli europei hanno davvero geni che favoriscono la nascita di società
aperte e dello Stato di diritto?

Ovviamente è improbabile che sia così.

Nessuno può ancora dire esattamente quali siano i modelli nell’insieme dei
circuiti neurali in grado di predisporre le popolazioni europee a preferire
società aperte e Stato di diritto invece delle autocrazie, o quelli che inducono i
cinesi a rispettare un sistema di obblighi familiari, la gerarchia politica e il
conformismo.

Tuttavia non c’è ragione per escludere che l’evoluzione sia
capace di elaborare sottili soluzioni a problemi complessi di adattamento
sociale.

Quasi certamente esiste una propensione genetica per seguire le
regole della società e punire chi non le rispetta, come è stato notato nel 
Capitolo 3.

Supponiamo che gli europei siano leggermente meno portati a punire chi
sgarra rispetto ai cinesi, questo potrebbe spiegare perché le società europee siano più tolleranti con chi dissente e con gli innovatori, mentre le società cinesi lo sono di meno.

I geni che regolano la tendenza a seguire le regole e a punire
chi sbaglia però non sono ancora stati individuati, di conseguenza non
sappiamo ancora se questi geni siano davvero diversi, come si potrebbe
ipotizzare, nelle popolazioni di cinesi e di europei.

La natura ha numerose manopole da girare per variare
l’intensità dei comportamenti sociali umani e può giungere allo stesso
risultato in molti modi diversi.

Le distinte civiltà della Cina e dell’Europa potrebbero non essere state
modellate soltanto da una serie di casi storici e culturali, come sostiene la
spiegazione più consueta.

Esse piuttosto rispecchiano, almeno in parte,l’evoluzione delle popolazioni
dell’Europa e dell’Asia orientale che si adattarono via via alle condizioni
geografiche e militari dei rispettivi habitat ecologici.

Così l’ascesa della Cina, e dell’Occidente nella sua scia,non sono da considerare soltanto come eventi storici ma anche come eventi che
hanno interessato l’evoluzione umana