giovedì 24 novembre 2016

PER QUELLI CHE "L'ESITO DEL REFERENDUM NON CAMBIA NULLA"


Perché la finanza vuole il Si?
Lo spiega Paolo Maddalena, giurista:
"Si tratta di scegliere, non tra una formulazione o un’altra delle norme costituzionali, ma tra due diverse idee di democrazia, tra due sistemi economici e politici diversi e più propriamente tra il sistema “keynesiano” (presupposto dalla vigente Costituzione), che ci ha assicurato trenta anni di benessere nel secondo dopoguerra, e il sistema “neoliberista”, che dagli inizi degli anni ottanta si sta subdolamente infiltrando nella nostra legislazione democratica, fino al punto di chiedere oggi una sostanziale modifica della Costituzione.
Sistema keynesiano e sistema neoliberista
Si tenga presente che il neoliberismo agisce sottilmente con attendismo e senza proclamazioni di principi. Esso tenta, in buona sostanza a sostituire al principio costituzionale della difesa della dignità della “persona umana” il principio del “massimo profitto” degli speculatori finanziari, ritenendo, erroneamente, che “l’accentramento” della ricchezza e quindi l’annientamento della circolazione monetaria sia un bene da perseguire. In sostanza esso vuole l’arricchimento di
pochi e l’immiserimento di tutti gli altri.
Al contrario il sistema keynesiano, al quale si ispirò Roosevelt per la soluzione della prima grave depressione degli anni trenta, punta sulla “redistribuzione” della ricchezza, spargendo su una larga fascia di lavoratori la ricchezza disponibile, in modo che questi vadano ai negozi, i negozi chiedano alle imprese, le imprese assumano e producano, realizzando così un circolo virtuoso nel funzionamento dell’economia reale.
Il voto referendario, dunque, è la scelta tra due sistemi di vita: mantenere il nuovo tipo di società, in larga parte già attuato in modo subdolo e nascosto, offrendo ad esso anche la tutela costituzionale, oppure tornare all’economia keynesiana, che ha ampiamente dimostrato di essere l’unico sistema economico conforme a natura e foriero di benessere per tutti.
L’adeguamento della Costituzione alla volontà della finanza
Qui non si tratta di adeguare la Costituzione formale (la nostra Costituzione repubblicana) ad una Costituzione “materiale” che si sarebbe già affermata. Qui si tratta di piegare la Costituzione vigente alla volontà prepotente della finanza che agisce nell’oscurità e ottiene l’asservimento proditorio della politica e vuole imporre dal di fuori una nuova Costituzione. La Costituzione materiale infatti presuppone che la generalità dei cittadini abbia espresso con i suoi comportamenti
una nuova “opinio iuris ac necessitatis”, un nuovo modo di regolamentare le cose e i rapporti tra i cittadini. Ma quale cittadino ha mai condiviso questo sistema che ha portato a una disoccupazione insopportabile, alla chiusura delle grandi reti di distribuzione, alla privatizzazione delle banche pubbliche e delle industrie pubbliche, alla chiusura delle industrie private e dei numerosi capannoni disseminati in tutta Italia, alla svendita delle isole, delle montagne, dei migliori tratti di costa, dei monumenti artistici e storici di valore inestimabile, alla svendita dell’intero territorio, demani com-
presi, e quindi alla recessione, e a una miseria senza nessuna possibilità di ripresa? Si badi bene che questo nuovo sistema economico e sociale, nel quale è già caduta irrimediabilmente la Grecia (della quale nessuno più parla) è stato subdolamente attuato con leggi del nostro Stato approvate da politici asserviti alla finanza, facendo credere che si trattasse di norme di settore, ma che invece erano attuazione di un ben preciso e studiato sistema che ci ha portati tutti alla rovina.
Le tre fasi della strategia neoliberista
Per convincersene, è sufficiente pensare che il sistema suggerito dalla finanza, e attuato dai nostri politici di turno, passa attraverso tre fasi, accuratamente previste e realizzate nei momenti più opportuni.
La prima fase consiste nella creazione del danaro dal nulla, attraverso la “cartolarizzazione dei diritti di credito”, la “cartolarizzazione degli immobili da vendere”, i “derivati” e altre numerose forme di “prodotti finanziari”, i quali hanno tutti la caratteristica di trasformare in danaro contante delle semplici “scommesse” sul pagamento di debiti o sulla riuscita di determinate operazioni, o addirittura sul verificarsi di imponderabili avvenimenti futuri.
Un vero e proprio gioco d’azzardo, con la differenza, però, che la trasformazione di queste scommesse in “titoli commerciabili”, immediatamente vendibili sul mercato ha l’effetto di trasferire
sulla Collettività le probabili perdite degli scommettitori. Se vinco, il premio è mio, se perdo i guai sono tuoi (si pensi al Monte dei Paschi di Siena e simili, nonché al “bail in” dell’Unione Europea).
Si tenga presente che secondo una statistica del 2010, i derivati erano in totale 1,2 quadrilioni di dollari, venti volte il Pil di tutti gli stati del mondo.
La seconda fase consiste nel far penetrare nell’immaginario collettivo l’idea che la “privatizzazione” dei beni e dei fattori produttivi nazionali, nonché dei servizi pubblici essenziali, sia una cosa benefica per la Collettività. Altro immenso inganno che serve a renderci schiavi delle grandi imprese straniere, che rendono servizi scadenti e funzionano come pompe aspiranti della nostra ricchezza. Possiamo dire che oggi, dopo aver venduto ai privati le banche pubbliche e le industrie di Stato, dopo che abbiamo venduto agli stranieri le migliori industrie private, da quelle meccaniche a quelle alberghiere, siamo davvero diventati poveri, non produciamo più nulla e stiamo vivendo sulla svendita del nostro capitale.
E’ questa la terza fase escogitata dalla finanza per arricchirsi ai nostri danni. Dopo aver inventato con un colpo di genio la “finanza creativa”, dopo aver spinto il nostro Paese alle micidiali “privatizzazioni”, il terzo punto è “l’appropriazione” dei nostri beni reali con l’utilizzo prevalente di quel danaro fittizio che la finanza stessa ha creato dal nulla. E nessuno può negare che il metodo dell’austerità e del pareggio di bilancio impostoci dall’Europa, ci spinge inevitabilmente a svendere tutto quello che possiamo. In sostanza siamo passati da una economia produttiva, il cui percorso era “finanza (investimento) - prodotto (occupazione e creazione di beni reali) - finanza (profitto dell’imprenditore)”, ad una economia predatoria, il cui percorso è “finanza - finanza (prodotti finanziari) - accaparramento dei beni reali esistenti”. Dunque, nessuna possibilità di occupazione e nessuna possibilità di produrre beni reali. Tutto l’esistente viene portato nelle mani di pochi e tutti gli altri sono sospinti nella più nera miseria.
L’ESITO DEL REFERENDUM SCEGLIERA’ IL NOSTRO PROSSIMO DESTINO
Dunque, il prossimo referendum ha molto a che fare con il nostro prossimo destino. Non è dubbio che siamo chiamati a scegliere tra due sistemi economici e politici, il sistema keynesiano che pone al centro il valore della “persona umana” e il “lavoratore” e il “neoliberismo”, che pone al centro il “massimo profitto individuale”. La nostra Costituzione repubblicana è stata scritta presupponendo il primo tipo di società. La riforma costituzionale di Renzi vuole legittimare costituzionalmente quanto si è già realizzato per la creazione del secondo tipo di società, e vuole togliere ogni ostacolo alla realizzazione di una società nella quale la sovranità spetta, non più ai Popoli, ma al mercato “globalizzato”, che decide, non razionalmente per il bene dei Popoli, ma irrazionalmente per l’interesse individuale, attraverso il gioco e la scommessa, e disinteressandosi di quanto accade sulla generalità degli uomini. Questa volta non si tratta di un puro e semplice referendum, ma di una scelta epocale, che potrebbe annullare lo stesso concetto di “comunità” e riportarci all’uomo branco di diecimila anni fa."
Fonte: https://www.facebook.com/groups/1042701395784