mercoledì 7 marzo 2018

LA GRANDE SCONFITTA

Stranamente, il risultato elettorale testè uscito dalle urne, ha lasciato
ammutoliti e silenti i coribanti e le ochette del buonismo a gogò. Forse certe
persone si credevano che, a suon di antifascismo, jus soli, accompagnati
dallo spauracchio degli “estremismi”, di fronte ad un atteggiamento di rancido
moderatismo e di simil-responsabilità gli elettori, dal nord al sud della nostra
penisola, li avrebbero amorevolmente e doviziosamente premiati. E non sono
certo bastate le facili suggestioni di un voto di scambio all’insegna di fritture di
pesce e quant’altro, a modificare quanto uscito dalle urne, né i nervosismi e
le rampognette euro-globaliste di Frau Merkel e dei Dem d’Oltreoceano.
Quanto sinora uscito dalle urne, prospetta la predominanza di due blocchi
che, con tutte le differenze che li contraddistinguono, sono accomunati da
uno spiccato atteggiamento anti-sistemico: la Lega di Matteo Salvini da una
parte ed il Movimento Cinque Stelle, dall’altra. Mentre, però, la Lega è
divenuta la forza politica preponderante di una coalizione di “centro-destra”
(termine questo, sempre più svuotato dei suoi originari significati ideologici,
sic!), formata da altri soggetti politici, il Cinque Stelle da solo, ha ottenuto il
trenta e più per cento dei voti del corpo elettorale nostrano, affermandosi sì
quale primo partito del quadro politico, quanto a numero di voti, ma pur
sempre privo di quella maggioranza, per legge, necessaria a poter governare
da soli.

Pertanto, dallo scenario che ne vien fuori, delle due ipotesi l’una: o Lega e
Cinque Stelle, siglano un accordo per spartirsi il governo del paese in nome
di un mix di sovranismo, identitarismo, contestazione e radicale rivisitazione
di quanto fatto dagli ultimi governi in materia di economia, previdenza sociale
e quant’altro oppure, un mandato esplorativo ed un conseguente “governo di
scopo”, al fine di espletare le più immediate ed urgenti priorità istituzionali,
sino al conseguimento di una appropriata legge elettorale. A complicare
ulteriormente il quadro, la poca disponibilità, almeno a parole, da parte dei
vari soggetti in giuoco, Lega in primis, (ma anche i Pentastellati, sino a poco
tempo fa...e non è detto che, more solito, non ci ripensino...) a condividere
con altri il governo del paese.

Comunque la si voglia mettere, ad uscire clamorosamente sconfitta da
questo confronto elettorale, non è solamente la “sinistra” intesa quale
aggregazione politica o partitica che dir si voglia, quanto una mentalità,
un’assetto di pensiero che si sviluppa in una modalità di agire dalle molteplici
implicazioni e che noi, per una questione di brevità semantica, definiremo
“moderata”. Sì, perché se non si fosse capito, a creare le premesse ed a
portare l’Italia sul baratro di un disastro politico, economico e sociale, sono
stati proprio loro, i “moderati” di tutte le salse e le risme.

Moderazione. Questa sembrava esser divenuta la parola d’ordine di tutte le
formazioni politiche nostrane verso la metà degli anni ’90, a seguito della
“vaporizzazione” della Cortina di Ferro e dell’euforia liberista da ciò
ingenerata ed indotta e di cui gli scritti di un Francis Fukuyama, preconizzanti
una quanto mai improbabile “Fine della Storia”, fecero da battistrada.
In Italia, la necessità di innestare un profondo processo di cambiamento e
rinnovamento dell’intero assetto istituzionale e politico di un paese,
rappresentato dal sorgere della Lega di Bossi e dal crollo del pentapartito a
seguito delle inchieste di “Mani Pulite”, si tramutò ben presto in uno scontro
senza soluzione di continuità tra due schieramenti sorti proprio al fine di
contenere quelle istanze di cambiamento di cui abbiamo detto: la Sinistra
buonista e “democratica” PDS/DS/PD e la Destra berluschista.

I “ma”, i “però”, i “distinguo”, i contorsionismi politici, pronunciati al fine di non
turbare troppo il nuovo assetto globale neoliberista, assursero ad
irrinunciabile assioma, accompagnato dall’idea di un’economia liberista che
tutto avrebbe risolto e felicemente regolato, a patto che ne fossero
codinamente seguiti i dettami. Una crisi finanziaria dopo l’altra e ci si accorse
che così non era, anzi.
Il generale peggioramento delle condizioni di vita degli Europei e degli Italiani,
in particolare, accompagnati da un progressivo inasprirsi della pressione
fiscale, le folli spese militari per spedizioni all’estero, in ossequio ai diktat
della “Comunità Internazionale (leggi Usa...), lo strapotere e la sostanziale
impunità delle istituzioni finanziarie, accompagnato da consistenti tagli alla
spesa pubblica e previdenziale, l’impossibilità di perseguire delle autonome
politiche di bilancio, accompagnate da incisive politiche di tutela delle proprie
industrie, la pratica della delocalizzazione di queste ultime, al fine di
abbassare il costo del lavoro, il tutto realizzato grazie ad accordi-capestro,
impunemente sottoscritti sia a livello europeo (Maastricht, Lisbona, Direttiva
Bolkenstein, etc.) che internazionali (Wto, etc.), la folle pratica di apertura
delle frontiere e dell’ingresso di orde multietniche, al fine di sostituire la mano
d’opera locale, con una servile d’importazione,a basso costo, priva di diritti,
più facilmente manovrabile, al fine di stravolgere e snaturare pericolosamente
i già fragili equilbri di un paese...

Questo mix di insicurezza sociale, rabbia e paura, è stato, da una parte,
intercettato da alcuni settori di quello che era il raggruppamento moderato
della destra “moderata”, ovverosia Lega e Fratelli d’Italia/An che,
ripresentatisi al corpo elettorale all’insegna di un approccio “duro”, di tipo
sovranista ed identitario, imponendo, pertanto, un radicale cambio alla tabella
di marcia a formazioni prima ammantate di moderatismo.
Dall’altra parte, per il Cinque Stelle, il discorso è differente. Sorto
improvvisamente sullo scenario politico nostrano, sotto gli auspici del duo
Grillo-Casaleggio, al di là delle iniziale sparate anti sistema e delle garanzie
di affidabilità conclamate a gran voce, permane un’entità politica proteiforme,
in grado di smentire a piè sospinto, quanto poco prima proclamato, lasciando
così in forte dubbio un avveduto osservatore politico. Dubbio rinforzato
dall’esempio della pessima non-gestione della Capitale da parte della giunta
Raggi. Non solo. Sono in non pochi a dubitare sull’autenticità delle intenzioni
dei Cinque Stelle. Frasi di Grillo sulla funzione di “contenimento” della sua
creatura politica, rispetto a spinte “estremiste” sullo scenario nostrano, la
voce di una sua presenza sul panfilo “Britannia”, durante la fatidica riunione
del ’94, la mai chiarita funzione della Casaleggio ed Associati, sino al
sospetto di rapporti con alcuni settori della massoneria britannica,
contribuiscono ad incrementare tutti quei dubbi precedentemente esposti.

A questo punto, diviene d’obbligo il classico “che fare?”. Ad onor del vero, in
un simile scenario non ci si può più affidare a forze minoritarie, dell’ una o
dell’altra parte, troppo spesso ammantate di sterili nostalgismi ed ancora
immerse in contrasti ed aporie tali, da non renderne più credibile l’azione
politica se non ad un livello settoriale, “di nicchia”, quale può essere quello
prettamente giovanile, tanto per fare un esempio. Rimane, invece, molto più
realistica e sicuramente praticabile, l’idea di un’interazione con quella, tra le
forze maggioritarie presenti sullo scenario, che più può avvicinarsi a
tematiche autenticamente sovraniste ed identitarie.
Tra tutte quelle forze che oggi si presentano quale alternativa al sistema, la
Lega è, al momento, quella che maggiormente sembra voler portare avanti
certe tematiche. Certo, anche qui, il condizionale è d’obbligo, viste le cadute
del passato. Ma proprio in virtù di quella discontinuità di cui abbiamo parlato e
di cui la “gestione” Salvini sembra essere il classico esempio, è da qui che si
dovrebbe ripartire per iniziare un reale percorso di cambiamento, spingendo
per emarginare e ricacciare nei retroscala della Storia, qualunque tentazione
“moderata”.
Non sarà una battaglia facile. Troppi pregiudizi, troppe pressioni, troppi
interessi, ancora brigano in tal senso. Ancora si debbono iniziare le trattative
per un governo. I grandi sconfitti della contesa, i “moderati” di sinistra e di
destra, non si lasceranno certo togliere senza far storie, l’amata poltrona.
L’Europetta di Frau Merkel, dell’ubriacone Juncker e del presuntuoso ed
ipocrita Macron, oltre ai servetti del Financial Times, con vari toni, hanno
detto che non gradiscono...

Resta comunque che, di queste elezioni, i grandi sconfitti sono loro, i
moderati, i buonisti, i liberal-progressisti da salotto, gli slavati europeisti da
Master alla Luiss. Un segnale molto forte, in tal senso, è pervenuto anche agli
altolocati papaveri globalisti, alla Soros. E non è una sconfitta da poco,
momentanea. E’ la prima, cocente batosta, per un contesto politico ed ideale,
che ha avuto tutte le occasioni di questo mondo per dimostrare che la ragione
stava dalla propria parte ed invece ha, a più riprese, “toppato”, uscendo in
modo irrimediabile dall’orizzonte ideale dei popoli europei.
Un’altra era va, dunque, profilandosi. Un’era i cui esiti sono, se vogliamo,
ancor più incerti di quella del benessere a gogò, che ci ha appena preceduto.
Si tratta di riuscire ad evitare il declino dell’Europa e dell’Italia e di
riconquistare il benessere materiale e spirituale che fu di quell’Europa, che
ebbe un ruolo centrale nella Storia del mondo. Ora, a dispetto di Francis
Fukuyama e di tutta la corte dei tartufi buonisti e progressisti, la ruota della
Storia, per l’Europa, sta ricominciando, pian piano, a girare. E non è cosa da
poco.

UMBERTO BIANCHI